SIMON RODIA

Ultima modifica 13 maggio 2022

Sabato (Serino Italia 12.2.1879 – Martinez Usa 16.7.1965) di Francesco e Nicoletta Cirino (negli Usa prende il nome di Simon Rodia) nel 1902 a Seattle sposa Lucia Ucci

Francesco “Frank” (Oakland 1903) nel 1935 circa sposa Thelma Maxine Garretson, Alfredo “Francis” (Oakland 1905- Hayward, Alameda Co Cal. 1987) nel 1924 sposa Mary Florence Fazio di Oakland, Bella Alvira (Oakland 1908-1915 in circa)

Simon Rodia

 

Sabato o Simon Rodia nasce a Rivottoli di Serino il 12 febbraio 1879. All’età di undici dodici anni emigra negli Stati Uniti con tutta la famiglia, Inizialmente si stabilisce nelle vicinanze delle miniere carbonifere della Pensylvania, presso cui il genitore e il suo fratello maggiore avevano trovato lavoro.

Al seguito della morte di questo fratello, ucciso da un’esplosione di grisù nella miniera in cui stava lavorando, Sabato (per I fratelli era Sabatino) si trasferisce a Seattle. Qui prima si fa chiamare Sam, poi Simon e secondo l’unico certificato di matrimonio esistente qui si sposa nel 1902 con Lucy Uccy, dalla cui unione nascono Francesco “Frank” (Oakland 1903) il quale circa il 1935 sposerà Thelma Maxine Garretson, Alfredo “Francis” (Oakland 1905- Hayward Alameda Co Cal. 1987) il quale nel 1924 sposerà Mary Florence Fazio di Oakland e Bella Alvira (Oakland 1908) la quale morirà nel 1915 quando aveva soli sette anni.

Nel 1903 si trasferì con tutta la famiglia - compresa la sorella Angela detta Angelina e il marito di lei Saverio Colacurcio detto Sam anche lui di Rivottoli - nella città di Fruitale, vicino a Oakland nella Bay Area, dove trova lavoro presso una ditta di costruzioni di strade e in seguito come muratore. Dopo il terremoto del 1906 lavora come sterratore sulle vie di San Francisco. 

Secondo il noto giornalista americano Leon Whiteson, della Los Angeles Herald, il Rodia non imparò mai a scrivere e né a leggere sia nella sua lingua madre e sia in inglese. In una richiesta di previdenza sociale - scrisse al riguardo Leon - nel 1930, Rodia fu costretto a fare lo spelling più volte del suo nome prima che l’addetto riuscisse a trascriverlo correttamente sul modulo. In un periodo difficile per l’America, lui che era caratterialmente considerato un anarchico, non si adattò mai alle famose leggi restrittive statunitensi di quegli anni, tanto meno al focolare domestico; difatti, si diede a bere fino al completo abbandono da parte della moglie e dei suoi stessi figli.

A soli trent’anni si ritrovò praticamente un alcolizzato. Per una società complessa come quella statunitense, basata principalmente sulla forza economica e sul successo, l’emigrante e analfabeta Rodia rappresentava un peso e allo stesso tempo una minaccia. Fu così che, dopo il divorzio, per dieci lunghissimi anni lo ritroviamo in giro per il Texas per sconfinare poi nel vicino Messico. Si rifece vivo nel 1918 a Long Beach, assieme a una donna, appunto, messicana, di nome Benita, che presentò come la sua seconda moglie pur senza aver mai legalizzato il matrimonio.

L’area della South Bay era allora particolarmente gremita di oriundi italiani, greci e portoghesi, scelto per il clima praticamente mite se non simile a quello serinese lasciatosi alle spalle.

In questa sua nuova casa di Longh Beach, posta a Euclid Avenue 1916, Rodia comincia a manifestare le sue nascoste tendenze artistiche, realizzando per i vicini fontane, pergolati, strutture in cemento armato variopinte, ed altro ancora.

L’abbandono da parte della compagna messicana Benita consacra la sua fallimentare vita di marito e di uomo. 

Panoramica

Le Torri di Watts, Monumento Nazionale degli Stati Uniti d’America

 

La data del suo arrivo a Watts non è documentata. Alcuni indizi indicano il 1921 e il 1923. Due date da lui stesso incise sulle piastrelle ai piedi delle torri.

Watts era, a quei tempi, almeno inizialmente, scrive il giornalista Leon Whiteson, un piccolo villaggio urbano che confinava con campi e paludi attraverso il bacino di Los Angeles. Dal 1926, fu praticamente annessa alla grande metropoli californiana.

Nel 1954, il Rodia regala le torri ad un vicino di casa e tutti i suoi beni a chiunque si trovasse a vivere nei dintorni e lascia definitivamente Watts. Destinazione Martinez, una piccola città a nord di Berkley, dove un suo parente si era stabilito circa quarantacinque anni prima, senza essersi mai incontrati. Ci arriva da tipico emigrante serinese, cioè, scrive sempre Leon nella biografia, “con due valigie di cartone e diecimila dollari cuciti all’interno della camicia”.

Rodia, giunto ormai alla soglia degli ottanta anni, scrive in conclusione Leon, era: “un piccolo vecchio alto un metro e sessanta, con un grande naso e il viso coperto da un cappello sporco di sudore, le sue mani erano come il cuoio, con i muscoli nervosi nelle dita, con un sorriso dai denti radi, con gli occhi caldi e marroni che rivelavano la sua profonda umiltà”.

Gli ultimi sei mesi di vita li trascorre in una casa di cura. Seguirono vari attacchi di cuore e ricoveri d’ospedale che posero fine alla sua vita il 16 luglio 1965.

Nel 1972, le Torri di Watts furono dichiarate Monumento Nazionale degli Stati Uniti d’America.

 

Il “Giunto” Rodia

 

Negli anni tra il 1929 e il 1940, Rodia mette mano alle sue torri lavorandovi ininterrottamente: durante la notte, nei fine settimana, nei giorni festivi, con la pioggia ed il sole; ogni momento che riesce a stornare dal suo lavoro di muratore lo dedica alle sue torri.

Pian piano, sotto quelle sue mani di uomo analfabeta, prende così forma un’opera fatta di gazebo, fontane: il tutto all’interno di un muro di cinta che copre il perimetro decorato e protetto da soli tre cancelli. La tecnica utilizzata è sorprendente. Le tre torri in ferro si reggono senza aver utilizzato un solo punto di saldatura. L’interesse scientifico è enorme. L’invenzione fa il giro del mondo. Tuttora infatti, il “Giunto” Rodia, viene impiegato nella grande carpenteria.

Eppure, le delusioni subite dal Rodia sono tante. Si racconta infatti che malgrado i continui sabotaggi, durante la II guerra mondiale, Rodia fu costretto a rimuovere le lampade poste in cima alle tre torri. E questo perché, il governo locale pensava che quelle torri, la più alta misura 40 metri circa, fossero antenne appositamente realizzate per trasmettere propaganda giapponese.

Al seguito della sua partenza per Martinez, la casupola accosta alle torri fu bruciata e di quelle rovine rimasero soltanto il cancello e un portico d’entrata colmo di specchi affumicati.

Quando in seguito in una intervista gli chiesero cosa volesse farne delle torri, egli rispose nel rispetto della sua natura: “Riferite di farne quello che vogliono!”.

Il riconoscimento

Al seguito del tentativo della città di Los Angeles e della Safety Department di Demolirle, di considerare le torri “un azzardo pubblico non autorizzato”, ebbe luogo una singolare protesta che richiamò architetti, artisti, uomini di cultura; i quali definirono quelle torri una rara opera di intuito-genio-artistico. Tra le varie prese d’atto citiamo quella dell’intellettuale Buclminst Fuller che, con tutta la sua autorevolezza, dichiarò che Rodia poteva essere inserito nello stesso livello degli scultori di tutta la storia statunitense, che egli era un artista con un bellissimo senso della struttura. Le parole scritte nel 1978 a Mayor Tom Bradley da parte di Sir Kenneth Clark riassumono la vita intensa di questo serinese di nascita: “A parte la loro intrinseca bellezza, le torri rappresentano un meraviglioso esempio di sacrificio e devozione, e questa semplice e ripetitiva affermazione di Rodia esplica chiaramente il suo messaggio, se poi doveva essere interpretato come tale (affermerà lo stesso Rodia), “avevo in mente di fare qualcosa di grande; e io l’ho fatto!”.

 

Simon Rodia sulla copertina di Sgt. Pepper's, dei Beatles

 

Nel 1967 uscì nei negozi di dischi di tutto il mondo un LP che avrebbe fatto la storia di Rodia e delle sue Torri. Erano anni d’oro per la musica, anni in cui si sperimentava creando dei veri e propri capolavori e in effetti quell’album era uno di quelli che avrebbero alzato l’asticella di un bel po’. Si trattava infatti di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band uno dei più grandi capolavori dei Beatles. Tutto in quell’album apparve rivoluzionario, a cominciare dalla copertina in cui i Fab Four erano immortalati con attorno una folla variopinta di personaggi: in cima a tutti primeggiava Simon Rodia e le sue Torri.

 

Questa pagina di storia locale è stata curata dal Cav. Ottaviano De Biase


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